Paola Frallonardo Specialista in Reumatologia
UOC di Reumatologia Dipartimento di Medicina – DIMED
Università degli Studi di Padova
Direttore Prof. Leonardo Punzi
Nell’ambito della classificazione dell’artrosi (OA), formulata dalla Società Italiana di Reumatologia (SIR 1999), l’artrosi erosiva (OAE) della mano viene considerata come una variante aggressiva dell’OA primitiva. Tuttora rimane oggetto di discussione, se OAE costituisca un’entità nosologica autonoma o se rappresenti una forma evolutiva della OA non erosiva (non-OAE) della mano. Sebbene la diagnosi di OAE si basi essenzialmente su aspetti radiologici inconfondibili che rilevano la presenza di peculiari erosioni, solo alcune caratteristiche cliniche, possono condurre il medico al sospetto di OAE della mano e a confermarla mediante gli esami strumentali. Radiologicamente vengono riconosciuti aspetti comuni alla non-OAE, come la riduzione dello spazio articolare, la sclerosi dell’osso subcondrale e gli osteofiti (1). Le erosioni ossee, in particolare a carico dell’osso subcondrale delle articolazioni interfalangee (IF) sono caratteristiche e identificano l’OAE (2). OAE colpisce principalmente la cartilagine, ma anche i legamenti, l’osso subcondrale, la membrana sinoviale, coinvolgendo l’articolazione nella sua globalità, in tutte le sue componenti con aspetti di infiammazione localizzata (3,4).
La clinica dell’OAE è caratterizzata, infatti, da episodi infiammatori articolari, anche frequenti, con un decorso piuttosto aggressivo, un esordio acuto, tumefazione, rossore, dolore e dolorabilità alla digitopressione a carico delle IF e, in alcuni casi, può colpire le trapezio-metacarpali e le scafo-trapezoidali. I pazienti possono riferire parestesie e disestesie ai polpastrelli, rigidità mattutina un po’ più prolungata rispetto alla non-OAE, ma che raramente supera i 60 minuti, con un deficit funzionale della mano che risulta più marcato nell’OAE. Altri aspetti clinici che orientano gli studiosi verso un’autonomia classificativa dell’OAE, rispetto alla forma non-OAE, sono il rapido instaurarsi delle deformità e, soprattutto, l’evoluzione verso l’anchilosi delle IF prossimali (P) ed IF distali (D).
Storicamente, Kellgren e Moore (5) furono i primi ad interessarsi alla forma di OAE, e il termine specifico fu attribuito a Crain (6) che la descrisse in uno studio pubblicato nel 1961, dove aveva esaminato per circa 5 anni 700 casi di OA delle mani, individuando una forma di OA che produceva erosioni e interessava le IFD e IFP, comportava marcate deformità ed anchilosi tardiva. Alcuni anni più tardi Peter et al. (7) usarono il temine di “artrosi erosiva”, descrivendone le caratteristiche radiologiche. In seguito, fu introdotto il termine di “artrosi infiammatoria” da Ehrlich (8,9) per esaltarne gli aspetti infiammatori rilevanti all’esame clinico.
Dal punto di vista epidemiologico non ci sono dati di letteratura univoci, soprattutto per la difficoltà diagnostica di questa forma di OA, che richiede un’attenta valutazione strumentale radiologica. La maggior parte degli studi non sono specifici. Pattrick et al. (10) trovarono 10 casi di OAE tra 67 pazienti ambulatoriali con OA che presentavano interessamento poliarticolare delle IF di più di tre dita in ciascuna mano. In uno studio prospettico di 500 pazienti affetti da OA sintomatica della mano, Cobby et al. (11) identificarono 24 casi con OAE. Punzi et al. del 2004 (2), su 84 pazienti, riscontrarono 77 (91,6%) affetti da OAE sulla base della presenza di almeno due erosioni delle IFD e IFP. In uno studio sulla popolazione di una cittadina del Veneto, Cavasin et al. (12), su 640 soggetti di età superiore ai 40 anni, rilevarono che 200 (31,2%) soffrivano di OA delle mani secondo i criteri di Altman (13) e furono sottoposti ad esame radiologico con il riscontro di OAE nel 7% dei casi.
OAE colpisce soprattutto il sesso femminile e si manifesta clinicamente in età peri-menopausa a livello delle IF. Interessanti sono i dati secondo uno studio osservazionale su 1076 partecipanti che presentavano episodi quotidiani di dolore alle mani, la prevalenza della forma erosiva a carico dell’articolazione carpo-metacarpale è stata stimata nel 2,2%, con una differenza di genere secondo cui la base del pollice (BP) viene più frequentemente colpita negli uomini rispetto alle donne. Alla luce di questi risultati descritti pare ragionevole considerare OAE della BP come un’entità separata dall’OAE delle IF (14) e inoltre, in base alle diverse prevalenze di genere che sono state trovate, come due diversi subset dell’OAE della mano.
CARATTERISTICHE CLINICHE
Il termine di “artrosi infiammatoria” trova la sua spiegazione per le caratteristiche cliniche dell’OAE: un esordio particolarmente acuto e brusco a differenza di quanto accade nella non-OAE della mano. Nella OAE si possono riscontrare tutti i segni dell’infiammazione locale: dolore, tumefazione, calore, rossore e impotenza funzionale a carico delle articolazioni IF. Nel 1990 Altman et al. proposero criteri classificativi (13) per la diagnosi di OA delle mani che enfatizzavano gli aspetti clinici ed in particolare il sintomo dolore. Le principali caratteristiche cliniche di OAE e non-OAE sono riassunte nella Tabella I.
Tabella I. Principali caratteristiche cliniche di OAE e non-OAE
CARATTERISTICA | OAE | Non-OAE |
---|---|---|
Insorgenza | Frequentemente acuta | In molti casi moderata |
Dolore | Frequentemente ricorrente e persistente | Presente all’esordio, durata media di 2-3 anni |
Tumefazione | Frequentemente persistente | Presente all’esordio |
Eritema | Frequente, ricorrente durante le riacutizzazioni | Talvolta all’esordio |
Calore | Frequente, cronico, ricorrente | Frequente all’esordio |
N° di articolazioni colpite | Spesso, più di una contemporaneamente | Tipo “monoartrite multipla” |
Parestesie dei polpastrelli | Possibile | Rara |
Rigidità mattutina < 30’ | Frequente | Frequente all’esordio |
Nodi delle IFP e IFD | Comune, ma in alcuni casi assenti | Comuni |
Sublussazioni | Possibili | Possibili, ma meno frequenti |
Instabilità | Possibile | Rara |
Anchilosi | Possibile | Rara |
Le articolazioni più interessate sono le IFD e meno frequentemente le IFP. Le dita maggiormente coinvolte sono il secondo e il terzo, talvolta simmetricamente; seguono il quarto e il quinto. L’OAE può portare a deformità articolari, come sublussazioni laterali e nodi di Heberden (IFD) e di Bouchard (IFP) che sono, nella maggior parte dei casi, indistinguibili, clinicamente, da quelle della non-OAE (Fig. 1A e B). Altre deformità, invece sono quasi esclusive dell’OAE, come instabilità e anchilosi di IFD e IFP; di rado ad “opera-glass” (occhialini da teatro) (2).
Figura 1A. Paziente di sesso femminile con diagnosi di OAE. Le frecce indicano le sedi colpite IFD (azzurro), IFP (rosso). Rizoartrosi alla base del pollice (ellisse verde).
Figura 1B. Paziente affetta da OAE. Sedi colpite IFD (ellisse verde), IFP (ellisse rosso).
Per gentile concessione della Dott.ssa Roberta Ramonda responsabile dell’ambulatorio dell’artrosi della mano, unità esclusiva – UOC di Reumatologia Az. Osp. Università di Padova (Direttore Prof. L. Punzi)
Raramente sono affette le grandi articolazioni come l’anca e la spalla e i piedi, con l’eccezione della prima metatarso-falangea che è spesso comunemente coinvolta.
In un recente editoriale, Punzi et al. hanno ribadito come vi sia un crescente numero di evidenze, per cui OAE possa colpire altre localizzazioni, come le faccette articolari della colonna lombare (15). Questi diversi subset condividono, non solo, le stesse caratteristiche radiografiche della OAE della mano (erosioni dell’osso subcondrale) ma anche la gravità dell’espressione clinica come l’intensità del dolore e i segni infiammatori locali, messi in evidenza con tecniche di imaging sensibili come la risonanza magnetica nucleare (RMN) e tomografia assiale computerizzata (16-18).
La sindrome delle faccette articolari si può manifestare con dolore intenso al collo o mal di schiena, a volte con irradiazione agli arti superiori o inferiori, a seconda che sia rispettivamente colpito il rachide cervicale nella sua porzione media (C3-C5) o lombare bassa (L4-L5 e L5-S1) (19). Radiograficamente le lesioni che si riscontrano a carico delle faccette articolari sono: riduzione dello spazio articolare, cisti subcondrali, osteofiti, ipertrofia dei processi articolari tipici della non-OAE, ma anche aspetti erosivi tipici dell’OAE.
LABORATORIO
Nonostante la sua aggressività ed evolutività, che si rilevano clinicamente e radiograficamente, l’OAE non ha finora mostrato, al pari della non-OAE, significative alterazioni bioumorali. I più comuni indici di infiammazione disponibili per la diagnostica delle malattie articolari, proteina C reattiva (PCR), velocità di eritrosedimentazione (VES), profilo proteico risultano nei limiti di norma. Tuttavia, per quanto riguarda l’OAE, nei pochi lavori dedicati a questi aspetti, si è osservato un sia pur moderato aumento della VES e della PCR rispetto alla non-OAE. Punzi et al. hanno riscontrato valori più elevati di PCR con metodica ultrasensibile nei pazienti con OAE rispetto a non-OAE e un incremento del recettore solubile dell’IL-2 (sIL-2), indice di attività linfocitaria (20).
IMMUNOGENETICA
Nell’ambito dei fattori predisponenti all’OA della mano, va considerata la componente genetica, poligenica, e la familiarità. Frequente è, infatti, il riscontro di più casi nei familiari di primo grado e di sesso femminile. Sono stati ricercati possibili marcatori genetici, con riscontro di una mutazione nel cromosoma 12 per il gene COL2A1, che codifica per la molecola di protocollagene di tipo II, ritenuta responsabile di una forma prematura di artrosi generalizzata, di cui, tuttavia, non se ne conosce il ruolo nell’OA della mano. In uno studio del 2003 Stern et al. hanno riscontrato un polimorfismo della regione genomica codificante per la citochina proinfiammatoria IL-1beta in una popolazione caucasica affetta da OAE, ipotizzando così un ruolo patogenetico dell’IL-1beta in questa forma aggressiva di OA (21). Diversi autori hanno cercato dei marcatori genetici nel cromosoma 6, nelle regioni corrispondenti all’HLA di I e II classe. Uno dei primi studi ha riscontrato una maggior frequenza dell’aplotipo HLA-A1 B8 nei pazienti con OA della mano, questo comunque resta un dato controverso non confermato da altri autori. Per quanto riguarda gli antigeni HLA di classe II, spesso coinvolti in malattie autoimmuni, alcuni studi hanno dimostrato una correlazione con l’HLA-DR2. Tuttavia è da sottolineare come il limite principale di questi studi è la mancanza di specificità, dato che non tengono conto della distinzione tra OAE e non-OAE. Ramonda et al. in uno studio del 2011 gli alleli più frequenti nei pazienti con OAE, rispetto a non-OAE, risultarono A23, DRB*1 07 e B44, mentre completamente assente risultò l’allele A8 indicandone un possibile ruolo protettivo in pazienti non affetti (22).
CLINIMETRIA E SCALE DI VALUTAZIONE DELL’OAE
Negli ultimi decenni, la valutazione dei pazienti affetti da OA della mano, prevede l’impiego di strumenti sotto forma di questionari, scale di valutazione per il dolore, la disabilità, qualità di vita a fini prognostici, terapeutici e di studio, estensibili alla OAE.
La misurazione del dolore, sintomo principale dell’OAE, rappresenta da sempre un gravoso problema poiché le percezioni dolorose sono gravate da profonde connotazioni emotive, personali, soggettive. Routinariamente viene utilizzata la VAS (visual analogue scale) ovvero una scala continua, costituita da un segmento di retta (generalmente della lunghezza di 100 mm), alle cui estremità sono indicate le diciture “assenza di dolore” (0 mm) e “il più forte dolore immaginabile” (100 mm). Utili risultano i questionari SF-36, HAQ (Health Assessment Questionnaire), l’AUSCAN (Australian Canadian Osteoarthritis Hand Index) e l’indice algofunzionale della mano di Dreiser. Tutti questi questionari sono mirati alla valutazione del clinico e all’autovalutazione del/della paziente nel compiere le normali attività quotidiane (es. girare una chiave nella serratura, afferrare un oggetto, aprire una bottiglia di latte, tagliare la carne ecc.) per stabilire con un punteggio, il grado di disabilità in atto a carico delle articolazioni della mano e valutarlo nel tempo.
DIAGNOSTICA STRUMENTALE
RADIOGRAFIA
L’esame radiografico è considerato tuttora il gold standard per la diagnosi dell’OA della mano (23). Gli aspetti radiologici tipici dell’OAE riguardano la coesistenza delle caratteristiche erosioni con una proliferazione ossea (osteofiti). Mentre gli osteofiti sono indistinguibili da quelli della non-OAE, le erosioni sono specifiche della OAE.
Le erosioni colpiscono la porzione centrale dell’articolazione e nel corso degli anni determinano, insieme alla riduzione della rima articolare, un “collasso” centrale della limitante ossea. Le lesioni tipiche, definite “ad ali di gabbiano”, sono costituite dagli osteofiti, dalla sclerosi a carico della falange distale e dalla presenza di aspetti erosivi nella falange prossimale dell’articolazione. Caratteristica è la tardiva evoluzione di questa forma verso l’aspetto “a dente di sega” che più frequentemente interessa le IFP e può, nel tempo, portare all’anchilosi (Fig. 2).
Figura 2. Principali aspetti radiografici di OAE delle mani
Legenda
Freccia in alto = Erosioni e collasso centrale
Cerchio = Deformità ad “ali di gabbiano”
Stella = Erosioni definite a “dente di sega”
Per gentile concessione della Dott.ssa Roberta Ramonda responsabile dell’ambulatorio dell’artrosi della mano, unità esclusiva – UOC di Reumatologia Az. Osp. Università di Padova (Direttore Prof. L. Punzi)
ECOGRAFIA
Esperti Italiani per primi proposero l’esame ultrasonografico (US), con trasduttori ad alta frequenza per la valutazione delle IFD, nell’ambito di patologie articolari, che colpiscono elettivamente queste articolazioni, inclusa l’OAE (24,25). Con la tecnica US, gli autori ottennero un’accurata identificazione e definizione dello spazio articolare, dei profili e della limitante ossei, individuando erosioni, osteofiti, riduzione dello spazio articolare, ispessimento sinoviale, distensione della capsula, versamento articolare. Inoltre furono in grado di esaminare e descrivere le caratteristiche dei tessuti molli periarticolari, tendinei e peritendinei, L’US fornisce immagini dell’articolazione in scansioni sia longitudinale che trasversale, con una sensibilità superiore per quanto riguarda le erosioni anche molto piccole, più precocemente che con l’esame radiologico (26). Il segnale power-doppler, quando è positivo, indica alterata vascolarizzazione locale, e consente di evidenziare le alterazioni infiammatorie nelle piccole articolazioni.
Figura 3A. Scansione longitudinale dorsale della V IFP mano sinistra. Distensione della capsula articolare misurata (0.51 x 0.19 cm) a contenuto liquido (ipoecogeno). Piccole interruzioni della limitante ossea vengono segnalate da una freccetta bianca identificando 2 erosioni.
Figura 3B. Immagine della stessa articolazione che mostra segnale power Doppler positivo.
Per gentile concessione della Dott.ssa Roberta Ramonda responsabile dell’ambulatorio dell’artrosi della mano, unità esclusiva – UOC di Reumatologia Az. Osp. Università di Padova (Direttore Prof. L. Punzi)
RISONANZA MAGNETICA
La risonanza magnetica nucleare (RMN) ha progressivamente acquisito un ruolo sempre più rilevante nello studio delle patologie reumatologiche. Le specifiche possibilità diagnostiche di questa metodica sono rappresentate dallo studio nelle tre dimensioni di tutte le componenti articolari, cartilagine, osso sub-condrale, capsula, legamenti, menischi. É riconosciuto che queste strutture siano coinvolte in maniera rilevante nell’OAE, e con la RMN è possibile indagarle in maniera completa e dettagliata.
Nell’artrite reumatoide, ad esempio, è noto, come venga già utilizzata la RMN come metodica diagnostica dotata di maggiore sensibilità nelle fasi precoci di oltre 7-8 volte rispetto alla radiologia convenzionali. Per la eccellente capacità di mettere in evidenza i tessuti molli in questa patologia è possibile rilevare sinovite, erosioni, edema osseo. É inoltre possibile, utilizzando il mezzo di contrasto paramagnetico (gadolinio) rilevare l’enhancement della membrana sinoviale nel caso di sinovite nelle immagini precoci.
Ugualmente nell’OAE tutte le strutture articolari sopraelencate possono essere colpite e la RMN è in grado di delinearne la morfologia e valutarne l’integrità.
Sono molto bene evidenziabili, gli osteofiti nelle componenti corticale e midollare, l’edema subcondrale, la sclerosi e le cisti, tutti aspetti che possono essere studiati dettagliatamente con questa metodica. Le caratteristiche erosioni centrali appaiono come aree di cedimento (collasso centrale) dell’osso subcondrale e atrofia da pressione del tessuto osseo, tali aspetti, corrispondono alle immagini ad “ali di gabbiano” della radiografia. Molto utile è la possibilità con la RMN di evidenziare l’edema midollare osseo adiacente alle aree di erosione nell’OAE e l’ipertrofia della membrana sinoviale (27).
TERAPIA
Per quanto riguarda il trattamento dell’OA della mano, il gruppo di Esperti Italiani ha delineato nel 2013 le raccomandazioni SIR (28). Nonostante ciò, non possediamo, tuttora, una terapia eziologica sia per la non-OAE come per l’OAE. Il dolore è il sintomo principale e in questa forma l’impiego di paracetamolo e farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) risulta frequentemente inefficace nella maggior parte dei casi, nella pratica clinica. Le infiltrazioni intra-articolari di corticosteroide a lento rilascio sembrano essere più efficaci sul controllo della sintomatologia dolorosa; tuttavia non vi sono dati attendibili sulla loro capacità di ridurre lo sviluppo delle erosioni o sul controllo dell’evoluzione della malattia. Anche altre sostanze, sono impiegate in ambito terapeutico, in particolare, i farmaci slow-acting symptomatic drugs for OA (SYSADOA). Il più utilizzato tra questi è il condroitinsolfato, che in diversi studi, ha dimostrato una certa attività nel controllo dei sintomi e della progressione della malattia. Tuttavia, la loro limitata efficacia in monoterapia, in casi di OAE attiva e a rapida evoluzione, impone l’associazione di un trattamento più aggressivo. Casi selezionati di OAE sono stati trattati, storicamente, con farmaci usati nella terapia per l’Artrite Reumatoide, come il methotrexato e i sali d’oro, ma senza prove convincenti a favore. Risultati interessanti sono stati ottenuti con l’idrossiclorochina (HC), prima da Robertson nel 1993 e successivamente, da Bryant et al., in uno studio pilota, sull’efficacia di HC in pazienti con EOA, non responsivi ai FANS (29). Uno dei possibili meccanismi con cui l’HC eserciterebbe un controllo sulla sintomatologia e sull’evoluzione dell’OAE, sarebbe l’inibizione delle metalloproteasi e/o di alcune citochine, in particolare, IL-1beta. In questo contesto, alcuni studi più recenti si orientano verso l’impiego di farmaci “biologici” come gli anti-TNF?, per valutarne l’efficacia sul controllo della sintomatologia e sulla progressione radiografica di malattia. In uno studio del 2009 Bacconier et al. hanno utilizzato l’antagonista del recettore dell’IL1, anakinra, con il riscontro di un miglioramento della VAS, della funzione globale e una riduzione drastica dell’assunzione di FANS, dopo 3 mesi di somministrazione sottocutanea (30).
Tutti questi studi, anche se preliminari, suggeriscono come i farmaci biologici, anti-citochine, anti-TNF? (31), possano rappresentare una via alternativa interessante per il trattamento di una patologia così invalidante come l’OAE. Tuttavia è necessario lo studio più dettagliato dell’eziopatogenesi di questa patologia e l’individuazione di biomarcatori che permettano di individuare precocemente soggetti a rischio di sviluppare una forma di OAE. Essenziale è la visita medica nel caso di segni di flogosi articolare localizzata, il sospetto, in base alle caratteristiche cliniche del/della paziente da parte del Reumatologo, consente di arrivare alla diagnosi mediante l’esame radiografico e ad instaurare un’adeguata terapia.
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